Negli ultimi anni più di una volta i mercati si sono trovati ad affrontare un paradosso: ogni qualvolta arrivavano notizie negative la loro reazione era positiva in quanto gli osservatoriritenevano che le Banche Centrali, per sostenere l’economia, avrebbero dovuto favorire una politica monetaria espansiva, e viceversa. Una evidente anomalia: da sempre, essendo uno “specchio” dello stato di salute economico/finanziaria dei vari Paesi, il loro andamento è stato tendenzialmente “parallelo”. Economia forte, borse forti. Economia debole, borse deboli. Certamente fattori esterni (elezioni, crisi geo-politiche, prospettive economiche, etc) sono importanti fattori di condizionamento, ma la forza o meno dell’economia è il “contributore” maggiore.
Quello che stiamo osservando in queste settimane, e negli ultimi giorni, ci riporta alla “normalità”.
L’osservazione dei dati pubblicati negli ultimi giorni, in principal modo quello americani, qualche campanello di allarme lo stanno lanciando.
Se l’inflazione sembra tornata nei ranghi, i “numeri” sull’occupazione aprono più di un dubbio sulla forza della crescita americana.
Ma andiamo con ordine.
Negli USA il 68% del PIL deriva dai consumi (difficile trovare un altro Paese con una dipendenza così forte dal “portafoglio” dei cittadini). Si sta facendo largo, tra gli analisti, una certa preoccupazione, legata al fatto che il tasso di risparmio delle famiglie americane si ritrova ai minimi dal 2007, toccando il 2,9% del reddito disponibile (nei mesi precedenti la pandemia era al 6%). E se, da una parte, il debito delle famiglie statunitensi è sceso al 70% del PIL contro il 100% in cui si trovavano nel 2008, è vero che dall’altra stanno crescendo le insolvenze sul credito al consumo, ormai pari al 10,9%. Ecco, quindi, che il rischio che, nei prossimi mesi, si possa assistere ad un calo dei consumi è un’ipotesi più che plausibile, che già oggi contribuisce a far sì che i consumi siano più attenti, fattore che contribuisce ulteriormente ad un sostanziale contenimento dei prezzi.
Sul fronte dell’occupazione, in attesa dei dati che saranno resi noti oggi sul numero degli occupati e sull’andamento della disoccupazione, se è vero che i nuovi sussidi di disoccupazione, pubblicati ieri, sono inferiori rispetto alle attese (227.000 verso attese di 230.000), è altresì vero che le aziende private assumono meno (la percentuale più bassa negli ultimi 3 anni e mezzo). Un altro elemento a favore di chi sostiene che “l’atterraggio” dell’economia sarà più pesante di quanto si qui qualcuno ha voluto far credere (non a caso sta aumentando lo schieramento di chi sostiene che nel prossimo meeting di settembre la FED taglierà i tassi di riferimento non dello 0,25% ma dello 0,50%: il gap tra le 2 scuole di pensiero continua a restringersi, con il 55-60% che ritiene che Powell si fermerà allo 0,25% e il 40-45% che sostiene che si arriverà allo 0,50%). Con sullo sfondo le elezioni americane, che rischiano di rivelarsi un terreno “minato”: seppur la marcia di Kamala Harris continui spedita, nulla è definito, con i sondaggi che non danno un vincitore certo. E l’impatto della vittoria di un candidato piuttosto che l’altro non sarà indifferente. Basti banalmente pensare all’imposizione dei dazi in cui alla Casa Bianca tornare Trump: per un’economia come quella cinese, già oggi in evidente difficoltà, la loro introduzione potrebbe rivelarsi devastante. E uno studio di JP Morgan non lascia spazio a molte interpretazioni: secondo la Banca d’affari americana, nel caso i dazi salissero al 60%, la crescita cinese, per il 2025, potrebbe ridursi di ben 2 punti rispetto alle previsioni (che già stimano un modesto – per quel Paese – 4%).
In un contesto simile è ovvio che i mercati qualche segnale di nervosismo lo diano, anche se il “sentiment” di fondo continua ad essere “costruttivo”.
L’ultimo giorno di contrattazioni della settimana si apre con i mercati del Pacifico ancora una volta appesantiti dalle vendite.
Il Nikkei di Tokyo chiude – 0,72%, mentre Shanghai tratta in questi minuti a – 0,53%.
Hong Kong è chiusa per l’arrivo di un uragano (climatico….).
Sale, invece, il Taiex di Taiwan, in rialzo dell’1% grazie alla spinta della Taiwan Semiconductor Manufacturing.
Futures deboli un po’ ovunque, con cali diffusi.
Petrolio poco mosso, con il WTI sempre sotto i $ 70 (69,48, + 0,38%).
Gas naturale Usa $ 2,273, + 0,71%.
Oro di nuovo vicinissimo al massimo storico, a quota $ 2.525 (+ 0,14%).
Spread a 135,9 bp.
BTP al 3,57%.
Bund 2,21%, poco mossi.
In ulteriore rafforzamento il Treasury, il cui rendimento scende al 3,70%.
€/$ 1,1118, con un leggero rafforzamento dell’€.
Nulla di nuovo per il bitcoin, sempre intorno ai $ 56.000/57.000 (56.640).
Ps: Nga Wai Hono i te po Paki. Non è il nome di uno dei figli di Elon Musk (è sufficiente X AE A-12, crasi di diversi segni), ma quello della nuova sovrana Maori. E’ la più giovane regina al mondo (ha 27 anni), anche se non “governa” uno Stato, ma presiede un “movimento”. Quello del Kiingitanga, in Nuova Zelanda, fondato nel 1858 come forza di opposizione alla colonizzazione del Paese.